LA (MAL)SANA COMPETIZIONE

La competizione contrappone al vincitore, un vinto. Non importa quanto tu sia bravo, presto o tardi incontrerai qualcuno più forte di te e perderai. Verrà la delusione, la sofferenza per la sconfitta, il dolore per aver ceduto il gradino più alto del podio ad un altro. Tante saranno le delusioni ed altrettante le sofferenze, si susseguiranno per tutta la vita, si intrecceranno, si moltiplicheranno, perché la nostra società è organizzata così: in maniera competitiva. In ogni ambito: lavorativo, scolastico, familiare, religioso. Ancora piccoli si viene derubati “dell’innocenza infantile” e violentati psicologicamente fino a metterci forzatamente l’uno contro l’altro,  ma ancor peggio, spingendoci ad essere “PIÙ” DELL’ ALTRO. Qualcuno godrà di entusiasmanti momenti di gloria. Qualche altro vivrà periodi più o meno lunghi di popolarità e meritati successi. Ma più tempo si passa sul piedistallo, onorati, ammirati e soprattutto invidiati, tanto più il dolore sarà forte quando IMPIETOSAMENTE SI CADRÀ.

COSA C’È DI “SANO” IN TUTTO CIÒ? Siamo davvero sicuri che l’uomo abbia bisogno delle gioie che derivano dal vincere una competizione? O ne è solo schiavo suo malgrado, drogato?

Dare la colpa, come spesso accade, alla società organizzata male ed alla quale bisogna adeguarsi per non soccombere è avvilente. Eppure, questo diffuso “sentimento popolare” della rassegnazione, ci immobilizza. La società non è un’entità a se stante. Siamo noi la società. Ogni individuo, attraverso le sue scelte personali, può determinare il cambiamento. Rendersi consapevoli di non avere realmente bisogno di “vincere” ed offendere un altro individuo, può e deve incentivare un processo di vera civilizzazione, finalizzato ad una riorganizzazione sociale basata sulla sana collaborazione e non più sulla malsana competizione.